Non c’è differenza fra arte e pensiero.

Semplicemente l’arte costituisce l’aspetto eminente del pensiero.

L’uno vive nell’altro, ed è forse per questo motivo che ho sempre voluto coltivare contemporaneamente questi due aspetti qualificanti del mio essere. Potrebbe sembrare strano, ma il mio comportamento è molto simile anzi, continua la classica tradizione del pittore ottocentesco che viaggiava con il suo album e ritraeva tutti i passaggi più interessanti del suo percorso. Il mio, allo stesso modo, è una rappresentazione di immagini che si svolge lungo il percorso del pensiero.

Una cosa ci accomuna in particolare, ed è la ricerca del bello. Nell’Ottocento era affidata alla ispirazione ora, nel mare agitato del conoscere moderno, diventa una ricerca fondata prevalentemente sulla meditazione. In questo senso mi ritengo un operatore dell’arte moderna, fondata sempre sulla ricerca della bellezza e non un artista contemporaneo, più interessato invece alla ricerca dello stupore.

Giuseppe Locati
Totem del Pensiero N. 6 1989,
pasta di legno smaltata, cm. 36x12x8

Tuttavia non mi ritengo fuori dal tempo: anzi penso di essere molto vicino al conoscere contemporaneo.
Ricordo un periodo giovanile nel quale mi chiedevo se fosse più opportuno primeggiare in una disciplina o essere secondo in svariate discipline. Non ho avuto dubbi ed ho scelto la seconda soluzione, perché l’eccellenza, a mio modo di vedere, si ottiene solo con la completezza del conoscere. Per questo motivo, pur sentendomi animato da uno spirito principalmente umanistico, ho cercato di compensare questo sbilanciamento attraverso i miei studi scientifici al Politecnico. Ne è nata una confluenza che oggi posso ritenere positiva. Ho avuto modo di sviluppare la mia arte fusa nelle considerazioni del mio pensiero. Illustrerò brevemente questo percorso.

Se in una prima fase giovanile, fin dai dieci anni di età, mi sono accostato all’arte come ricerca della bellezza, motivata dall’ispirazione che nasce dalla natura, dopo gli studi scientifici ho scoperto un altro tipo di bellezza, forse ancora più affascinante, nello studio delle leggi della fisica e della matematica. E’ la bellezza della meditazione.
I due tipi di bellezza, che chiaramente non si escludono a vicenda, hanno generato in me la convinzione che solo una visione integrale della realtà può darmi appagamento. Per questo motivo ho sviluppato in parallelo le due componenti, con la convinzione, sempre più determinata, che la mia arte costituisce semplicemente la grafia del mio pensiero.

Infatti, proprio quando le due forme di bellezza si sono completate e collegate, mi sono permesso di ricercare una soluzione possibilmente esaustiva al “Perché dei Perché”. Sostanzialmente una ricerca epistemica capace di superare la ormai consunta e vana diatriba tra le cose del mondo e i pensieri della mente: di fatto, tra positivismo ed idealismo, tra percorso induttivo e deduttivo.
Necessità questa evidente, se si pensa che l’uomo è indiscutibilmente costituito dalle due componenti: materia e spirito. Esse devono necessariamente convivere in me come detentore unico.

Questa convinzione mi ha condotto all’inizio degli anni ’70 a mettere in discussione la rigorosità della scienza che, da sola, non risulta essere sicuramente appagante.
Ero convinto, ed oggi alla fine di quel percorso lo sono ancora di più, che la scienza è esatta però non è reale.
La realtà coinvolge sia i pensieri che le cose: eppure la conoscenza completa non può escludere un terzo elemento, ossia la parola del linguaggio, che pur essendo labile e come tale discutibile, costituisce il terzo componente necessario per trasmettere ed amplificare la conoscenza.

Negli anni ’70 ho così iniziato a sospettare, ed anche ad incrinare, i concetti basilari del conoscere scientifico, illustrandoli con dipinti e sculture dai titoli significativi quali “Linea quasi retta”, “Quasi cubo” ecc…: una offesa per la geometria analitica e, al tempo stesso, una apertura verso soluzioni più umane e quindi più realistiche.
E’ di quel periodo la stesura del mio primo scritto “La Logica Del Pensato”. In esso, alla ricerca del punto di fusione tra materia e spirito, scopro l’importanza del terzo elemento, la parola, che Wittgenstein nel 1920 aveva già individuato, ma che non era mai stata analizzata.
La sua natura interiore, ermeneutica, ci dice che non è ben definita, come già supponevamo: ora ho invece scoperto che essa ha una sua ben precisa conformazione. Ed è rappresentabile con una curva detta campana di Gauss, con un vertice al centro dell’attenzione e due propaggini sfuggenti verso più infinito e meno infinito.
Essa risulterà l’entità minima contenente sia le componenti materiali che quelle spirituali. La parola come “entità” di pensiero, sarà oggetto delle mie più svariate interpretazioni artistiche.

Nonostante il fatto che la sua labilità costituisca un’ulteriore difficoltà nella nostra ricerca della verità, alla fine la parola risulta essere l’elemento forse più interessante per una visione epistemologicamente più completa.
In diverse opere di questo periodo si nota si nota la ricerca della convivenza tra cose e pensieri, condizionata da interventi imprevedibili, non sempre razionalmente voluti e che sono rappresentati da un tocco rosso, quasi fosse una componente intrusa e provocatrice.

Con il secondo scritto “La relatività Assoluta” degli anni ’80, il problema sembra complicarsi ulteriormente.
La parola che si congiunge ad altre parole nella formazione delle usuali proposizioni, moltiplica la propria indeterminatezza tante volte quante sono le parole che costituiscono la proposizione.
Diventa una indeterminatezza amplificata fino a ritrovarsi, alla fine, non più con i riferimenti tradizionali (tre di spazio e uno di tempo) ma con infiniti riferimenti addirittura speculari, perché nel discorso io sono riferimento per te, ma tu lo sei per me. Una complicazione sulla complicazione.
Se apparentemente la situazione della mia ricerca si complica, si stanno di fatto creando le premesse per un nuovo e forse unico modo di leggere la nostra realtà.

E’ negli anni ’90, con la stesura della “Purificazione Del Pensiero”, che si delinea una soluzione che oggi si configura decisamente appagante.
La natura interna della parola può essere raffigurata secondo un metodo induttivo, cioè un metodo che ci giunge dalla esperienza fisica, grazie all’equazione di una gaussiana.
La stessa natura interna può essere rappresentata anche in modo deduttivo, cioè come un risultato di pensiero scientifico, dalla curva costituita dal “luogo dei punti tangenti a più infinito e a meno infinito ed a una parallela all’asse delle ascisse…”.
Due modi diversi di interpretare la stessa curva, uno sperimentale e uno teorico.
In pratica, le due uniche possibili letture della forma costitutiva della parola sono esprimibili secondo due equazioni.
La logica ci dice che la soluzione del problema si trova nella loro coincidenza, cioè in un sistema delle due equazioni.

Non voglio enunciare questi passaggi e giungerò quindi alla conclusione.

Giuseppe Locati
“Quasi Cubo” 1992,
ottone cromato con inserti smaltati.
Multiplo 1/10, cm. 7x7x7

Il tutto risulta fattibile, anche se nella soluzione finale del percorso del conoscere rimane un “e” che notoriamente rappresenta il numero irrazionale per eccellenza.
Da una simile lettura del nostro percepire le cose del mondo, si ricavano gli elementi giustificativi e i passaggi consequenziali che ci avvicinano ad una interpretazione religioso-fideistica dell’esistere. E’ quanto illustrato nello scritto “Perché Cristo – Il Pensiero Complesso” edito dalla Università Ludes di Lugano.

Un percorso che tecnicamente appare ineccepibile, arriva alla fine ad un risultato che contiene ancora una piccolissima dose di irrazionalità. E che porta quindi con sé un motivato sospetto.
E’ mai possibile che nonostante la consequenzialità e la correttezza logica dei passaggi, non si arrivi a toccare la verità epistemica?
Se questo accade, forse è dovuto al fatto che in un punto qualsiasi del percorso si è commesso un errore.
E’ nello scritto “La Teoria Della Disuguaglianza” (2019, edizioni “La Fronda”) che viene individuato questo passo falso.

Per motivarlo cancello tutto il percorso pregresso, che ora mi appare sicuramente confusionario e quasi inutile, per concentrarmi semplicemente sul “metodo” del conoscere.
Parto da zero, parto cioè dall’uomo che solo, immerso nella natura cerca di creare il “proprio conoscere”.
Egli deve individuare cosa c’è in comune e quali leggi regolano la natura, cioè gli alberi, le foglie, i fili d’erba, i sassi, le nuvole, ecc…
C’è una legge che regola la loro esistenza? Sì, c’è ed è molto evidente: è la totale assenza di uguaglianze.
Certamente, se metto in fila tre sassi produco una linea retta; se sono poi due sassi con altri due sassi, creo un certo risultato che sembra appagante. Ma tutte queste sono operazioni che presuppongono un mio intervento intellettivo ed intenzionale e che alla fine mi porta a quello che succederà con l’idealismo puro, convalidato successivamente dalla scienza: cioè ad una visione quadratica e rigorosa delle cose, non rispettosa però della natura stessa delle cose.
E’ proprio in questo primo passaggio primordiale che si verifica la scelta di percorso errato che ci condurrà così alla lettura attuale del nostro mondo, sempre più profonda e più confusionale.

Solo ai giorni nostri, e in un ramo del conoscere poco frequentato, si scopre che la disuguaglianza è alla base di un conoscere più completo, più integrale e quindi più umano.
Senza saperlo, stiamo vivendo la fase di un conoscere post-euclideo, cioè di un percorso che non si fonda più, come ha fatto la scienza fino ad oggi, soltanto sugli assiomi di Euclide e sulle uguaglianze.
I titoli delle mie opere attuali, del tipo “Dal caos al pensiero”, indicano la volontà di trovare un pensiero ex novo che scavalchi le complicazioni e le falsità della scienza pura.

Giuseppe Locati
Entità
Ottone smaltato, D cm 48 circa

Tuttavia non mi ritengo fuori dal tempo: anzi penso di essere molto vicino al conoscere contemporaneo.
Ricordo un periodo giovanile nel quale mi chiedevo se fosse più opportuno primeggiare in una disciplina o essere secondo in svariate discipline. Non ho avuto dubbi ed ho scelto la seconda soluzione, perché l’eccellenza, a mio modo di vedere, si ottiene solo con la completezza del conoscere. Per questo motivo, pur sentendomi animato da uno spirito principalmente umanistico, ho cercato di compensare questo sbilanciamento attraverso i miei studi scientifici al Politecnico. Ne è nata una confluenza che oggi posso ritenere positiva. Ho avuto modo di sviluppare la mia arte fusa nelle considerazioni del mio pensiero. Illustrerò brevemente questo percorso.

Se in una prima fase giovanile, fin dai dieci anni di età, mi sono accostato all’arte come ricerca della bellezza, motivata dall’ispirazione che nasce dalla natura, dopo gli studi scientifici ho scoperto un altro tipo di bellezza, forse ancora più affascinante, nello studio delle leggi della fisica e della matematica. E’ la bellezza della meditazione.
I due tipi di bellezza, che chiaramente non si escludono a vicenda, hanno generato in me la convinzione che solo una visione integrale della realtà può darmi appagamento. Per questo motivo ho sviluppato in parallelo le due componenti, con la convinzione, sempre più determinata, che la mia arte costituisce semplicemente la grafia del mio pensiero.

Giuseppe Locati

Giuseppe Locati